Biodermol alla SIMAC Tanning Tech 2024
La partecipazione di Biodermol alla fiera SIMAC Tanning Tech 2024, […]
Benvenuti alla rubrica “Il Dizionario della Sostenibilità”. In questo spazio esploriamo il panorama delle terminologie legate alla sostenibilità, offrendo una chiara e completa comprensione dei concetti fondamentali e delle pratiche emergenti nel campo della responsabilità ambientale, sociale ed economica.
Come più volte ribadito non si può parlare di sostenibilità senza avere presenti i fondamenti metodologici che la misurano.
Il metodo LCA è infatti lo strumento fondamentale per rendicontare l’impatto ambientale di un prodotto attraverso il suo ciclo di vita: dall’estrazione delle materie prime fino alle varie forme di smaltimento.
L’utilizzo di questa metodologia è normato dalle norme ISO 14040’s, le quali assicurano un approccio coerente e standardizzato alla misurazione.
Gli stadi sono 4:
1- Definizione degli obiettivi e del campo di applicazione
2- Analisi dell’inventario di input ed output del sistema
3- Valutazione dell’impatto ambientale
4- Interpretazione dei risultati
Questa metodologia è alla base delle note DAP (Dichiarazioni ambientali di prodotto), attraverso le quali qualsiasi organizzazione può mettere a disposizione pubblicamente gli impatti ambientali associati a ciascuno dei propri prodotti.
É obiettivo di Biodermol poter pubblicare entro il 2024 le sue prime DAP e poter dunque continuare un percorso di miglioramento nella consapevolezza delle dimensioni ambientali su cui impatta e nella trasparenza nei confronti dei propri Stakeholder.
La lettera di oggi è la Zeta, che sta per l’acronimo ZDHC (Zero Discharge of Hazardous Chemicals).
ZDHC è un’iniziativa globale nata dalla fondazione Roadmap to Zero con l’obiettivo di ridurre l’uso e l’emissione di sostanze chimiche pericolose nella filiera della moda atrraverso un approccio basato sulla precauzione e sulla prevenzione.
Mediante l’adozione di standard rigorosi ZDHC promuove una produzione più responsabile, mirato a ridurre gli impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana attraverso un lavoro di collaborazione con gli stakeholders al fine di promuovere best practices all’interno dell’azienda nonchè la progressiva sostituzione di agenti chimici in favore di alternative più efficienti e meno impattanti o dannose.
Ottenere questa certificazione è un passo significativo verso un settore della moda più sostenibile.
Questa certificazione si concentra sulle MRSL (Manufacturers Restricted Substances List), ovvero una lista di sostanze chimiche il cui utilizzo nel processo di produzione viene vagliato da un’apposita commissione allo scopo di valutarne l’opportunità o meno.
L’elenco è oggetto di continui aggiornamenti, segno di una tensione al miglioramento continuo, principio cardine di chi ha intenzione di utilizzare la sostenibilità come vantaggio competitivo, che non può naturalmente mancare negli enti che rilasciano certificazioni come questa.
Adottare la ZDHC è un impegno concreto verso la sostenibilità e la trasparenza.
I brand di moda, a loro volta, possono dimostrare ai consumatori il loro impegno per un’industria più pulita e sicura mettendo al centro della loro value proposition la trasparenza, un elemento sempre più ricercato dalle nuove generazioni e che necessita di fondamenti scientifici e verificabili.
Un ambizioso obiettivo che Biodermol ha messo nel mirino per questo 2024 risiede nell’ottenimento di questa certificazione, ormai giunta alla sua terza edizione.
Con essa crediamo di muovere un passo verso il cambiamento nell’ambito dell’industria tessile e di promuovere pian piano una filiera sempre più etica.
Senza fretta ma senza sosta.
La Circolarità spesso si rifa a dei pilastri (Le 3 “R”) che possono essere assai utili a fini didattici per spiegare le caratteristiche di un sistema economico innovativo rispetto ad un modello lineare. Questo è il primo di tre post nei quali sviscereremo i più importanti.
La prima delle 3 R è il riciclo. Esso, come ben noto, consiste nell’ottenere materiali secondari o materie prime secondarie a seguito di una lavorazione specifica.
Dai materiali riciclati si può ottenere un prodotto di valore inferiore (downcycling), come si può ottenerne uno con valore maggiore (upcycling).
Dobbiamo poi distinguere fra un ciclo chiuso, nel quale i materiali riciclati fanno sempre parte della stessa categoria merceologica contrapponendolo al ciclo aperto, casistica in cui il rifiuto, opportunamente lavorato, entra nel ciclo produttivo di un’altra filiera.
Il riciclo, all’interno del settore tessile e delle concerie, gioca un ruolo fondamentale nella promozione della sostenibilità. Un esempio concreto dell’impegno di Biodermol su questo fronte risiede nella partecipazione al progetto Ri-Leather, volto a sviluppare prodotti e tecnologie per la riduzione delle sostanze inquinanti e pericolose, nonché per il riutilizzo e il riciclo degli scarti di pelle. Esso prevede la riduzione dei fanghi di depurazione e dei reflui, nonché il riutilizzo e il riciclo dei residui della pelle conciata.
L’impronta di carbonio può definirsi come il quantitativo di CO2 equivalente derivante dalle emissioni complessive di gas serra associate direttamente o indirettamente ad un prodotto, un servizio o un’organizzazione.
Monitorare ed impegnarsi a ridurre la propria carbon footprint promette diversi vantaggi; taluni più immediati, altri meno:
Risparmio di costi: A fronte di un investimento o di un’ottimizzazione di processo è chiaro come i costi per unità funzionale possano diminuire anche in modo significativo.
Accountability interna: Entrare nell’ottica di dover studiare la propria impronta di carbonio vuol dire rifarsi a degli standard UNI EN ISO 14064 e al GHG Protocol for Project Accounting, norme che permettono di avere una comprensione di come le funzioni e gli asset aziendali concorrono alla formazione delle emissioni con una conseguente presa di coscienza di dove migliorare.
Aspetto reputazionale: Non è un mistero che il mercato stia dando sempre più rilevanza alla green reputation soprattutto in un’ottica di coinvolgimento degli stakeholders. Le filiere hanno quindi tutto l’interesse a comunicare in maniera trasparente le proprie azioni ed intenzioni.
Anche noi in Biodermol riconosciamo l’utilità di rendicontare le nostre azioni volte a rendere sostenibile il nostro progetto imprenditoriale e questo indicatore è un tassello fondamentale.
Oggi esploriamo la “C” dell’alfabeto della sostenibilità, e non potrebbe esserci termine più affascinante: Cradle to Cradle. Questo concetto è complementare alla già citata simbiosi industriale e trova il suo significato nel ripensamento del ciclo di vita del prodotto.
L’espressione “Cradle to cradle”, coniata per la prima volta dall’architetto ed economista svizzero Walter Stahel alla fine degli anni 70, va affiancata al concetto di biomimetica.
La biomimetica consiste nello studio dei processi biologici e biomeccanici come fonte di ispirazione per il miglioramento delle attività e delle tecnologie umane e rappresenta un modo di studiare i fenomeni naturale molto utile se si vuole transitare verso un’economia circolare.
È infatti noto che tutti gli ecosistemi funzionino secondo logiche diverse da quelle dei sistemi industriali prevalenti basandosi su un metabolismo dei sottoprodotti e dei flussi di nutrienti estremamente efficaci ed efficienti che non contemplano la nozione di rifiuto.
In sostanza, i biomi rappresentano dei sistemi in cui ciò che nasce finisce per essere riutilizzato sotto altre forme in modo tale che l’energia si preservi nel ciclo dell’ecosistema ed è questo ciò che meglio può spiegarci il “cradle to cradle” o, se preferite, “dalla culla alla culla”.
Adattare un sistema economico in crisi di identità e meno globalizzato che in passato ai sistemi naturali è forse un sogno irraggiungibile, tuttavia non bisogna sottovalutare la forza che può avere una vision ispirata da principi di questo tipo nel creare valore per le comunità.
Non potrebbe esistere Biodermol come non avrebbero senso di esistere tante realtà private e pubbliche se non ci fosse un’idea di sviluppo sostenibile a cui tendere.
La simbiosi industriale per definizione è quel meccanismo che si realizza quando più imprese condividono risorse sottoutilizzate o materiali di scarto in modo tale da ottenere mutui benefici.
Il termine simbiosi (dal greco σύν «con, insieme» e βιόω «vivere») appartiene al lessico delle scienze biologiche e racchiude un ventaglio di modalità attraverso le quali varie forme di vita selezionano nel corso della loro storia evolutiva dei comportamenti mutualmente vantaggiosi che li portano a vivere insieme sfruttando l’uno le caratteristiche dell’altro.
La sterminata letteratura sulla storia dei distretti industriali illustra perfettamente come a volte gli ecosistemi di aziende mimino le loro controparti naturali. Con un pò di fantasia sembra di ascoltare i documentari di David Attenborough mentre si scoprono le vicende che hanno portato attori di varia natura a trovare dei contesti socioeconomici nei quali saperi, capitali e capacità imprenditoriali si potessero unire al fine di generare ricchezza.
Oggi il mondo dei distretti, in modo particolare in Italia, si è ridimensionato e in alcuni casi ha perso la carica innovativa data dalle specificità locali, eppure alcune delle chiavi del loro rilancio potrebbero albergare proprio nella ricerca di soluzioni che uniscano gli obiettivi di sostenibilità a quelli di cooperazione in un mercato in cui le catene del valore negli ultimi anni hanno subito sconvolgimenti epocali.
Se Cicerone nel De Oratore scriveva Historia magistra vitae, lo stesso si potrebbe dire della natura e della capacità che possiede ancora oggi di ispirare innovazione.
Quando parliamo di Upcycling ci riferiamo al processo che permette di convertire un materiale in un altro di maggiore qualità.
Gli esempi di questo meccanismo sono tanti; dalla vecchia giacca ferma alla moda anni ‘70 arricchita con un sapiente lavoro di patchwork a processi più sedimentati nella storia dell’industria manifatturiera come ad esempio l’utilizzo delle pelli bovine come materia prima.
Alcuni potrebbero alzare il sopracciglio di fronte a questa affermazione, vista la forza mediatica che hanno avuto le denunce nei confronti degli allevamenti intensivi con lo scopo di crescere delle future pellicce, tuttavia occorre recuperare un’altra definizione centrale, ossia quella di sottoprodotto .
L’industria della pelle bovina illustra come uno scarto (o più tecnicamente “residuo di produzione”) dell’industria alimentare destinato alla discarica possa in realtà essere trasformato in un materiale di alta qualità per estetica, funzionalità e durevolezza.
Biodermol è un progetto imprenditoriale che insiste sulla ricerca di soluzioni biologiche low-impact da alternare ai più classici prodotti chimici ausiliari utilizzati nella fase di pre-concia,che rappresenta un momento cruciale in cui il pellame viene lavorato al fine di essere posto nelle condizioni di avere nuova vita.
Questo è l’obiettivo, in particolare, della White Line: una linea di agenti basata su una ricetta enzimatica implementata nel 2015 e che ad oggi conta la bellezza di ben sei prodotti a seconda delle esigenze del cliente.
Key Performance Index
Keep people Interested, Informed, Involved, Inspired
Chiunque frequenti questa piattaforma avrà letto almeno una volta questo slogan, spesso seguito da una critica alla freddezza dei numeri in contrapposizione alla priorità da dare alle persone all’interno dell’azienda.
Non possiamo che essere d’accordo con questa posizione, vale comunque la pena di spiegare perchè la sostenibilità di un’organizzazione debba passare necessariamente da un sistema di indicatori certificati e come aggirare il conflitto di cui sopra.
Partiamo dalle basi.
Definizione dei KPI:
I KPI sono misure quantitative che consentono alle aziende di valutare l’andamento e il successo delle proprie iniziative. Nella sostenibilità, diventano lo strumento di precisione per misurare impatti concreti e progressi verso obiettivi etici e ambientali.
I KPI quindi sono una mappa cruciale, ma, al pari di un qualunque altro strumento di competitività, il suo potenziale dipende dalle persone a cui lo affidiamo e dal contesto nel quale lo caliamo. La scelta degli indicatori non è discrezionale, ma legata a criteri di rilevanza, misurabilità e coerenza con quella che è la mission aziendale.
Il rischio è altrimenti quello di scolpire sulla pietra alcune metriche e vincolarsi ad esse sottovalutando sia le esigenze interne che i cambiamenti al di fuori dell’organizzazione.
Ne consegue che i giusti KPI e il loro perseguimento non sono altro che la naturale conseguenza di una politica aziendale evoluta e costantemente in ascolto rispetto alle esigenze dei propri stakeholders.
La mission di Biodermol e di chi ci sceglie risiede nella ricerca di soluzioni sempre più pulite ed innovative al fine di contribuire a lasciare il pianeta più vivibile alle nuove generazioni.
É tempo che il settore privato e quello pubblico prendano consapevolezza dell’importanza di poter avere un impatto positivo sulla vita della propria comunità e del proprio pianeta.
Soltanto una volta capita la propria dimensione rispetto a ciò, i KPI avranno del significato che andrà oltre dei gelidi numeri da discutere in una riunione del CDA.